Biofisica Cocleare: Trasmissione del suono lungo la membrana cocleare e latenza delle emissioni otoacustiche

 

Renata Sisto1, Arturo Moleti2

 

1 Dipartimento Igiene del Lavoro, ISPESL

2 Dipartimento di Fisica, Università di Roma Tor Vergata

 

 

Sommario

 

La relazione fra latenza e frequenza delle emissioni otoacustiche è strettamente legata non solo alla posizione cocleare dei siti tonotopici, ma anche alla curva di tuning che esprime l’andamento medio del fattore di merito delle risonanze cocleari in funzione della frequenza. In questo lavoro presentiamo un modello della trasmissione cocleare che permette di calcolare la latenza delle emissioni otoacustiche in funzione della curva di tuning e lo utilizziamo per stimare, dal confronto con dati sperimentali di latenza, la curva di tuning in adulti e neonati. Abbiamo inoltre utilizzato i modelli di generazione delle emissioni spontanee (SOAE) di Zweig e Shera, 1995 e Talmadge et al., 1998, per ricavare una relazione indipendente fra la latenza e la spaziatura minima delle SOAE, e abbiamo verificato sui dati sperimentali la correttezza di tali relazioni.

 

1.    Introduzione

 

Le emissioni otoacustiche (OAEs) sono segnali acustici misurabili nel canale uditivo esterno sia in risposta a uno stimolo esterno (emissioni evocate, EOAEs), sia in assenza di stimoli (emissioni spontanee, SOAEs). Prodotte dai meccanismi di amplificazione attiva risonante distribuiti lungo la membrana cocleare, costituiscono un importante mezzo di indagine della funzionalità dell’orecchio interno, ampiamente utilizzato sia in ambito clinico che nella ricerca fisiologica di base. In ambito clinico, le emissioni evocate da stimolo transiente (TEOAEs) forniscono semplici criteri “pass-fail” per lo screening neonatale, mentre per quello che riguarda la ricerca fisiologica di base, tutte le tecniche sperimentali disponibili (per una review vedi Probst et al., 1991) sono utilizzate coerentemente insieme ai modelli teorici per studiare in dettaglio la risposta dell’orecchio.

La relazione fra la latenza delle emissioni otoacustiche e la loro frequenza è stata studiata sperimentalmente (Tognola et al., 1997, Sisto e Moleti, 2002), e mostra chiaramente che la latenza sperimentale è ben rappresentata da una semplice legge di potenza della frequenza. D'altro canto è ben noto che la relazione fra la frequenza e la posizione del corrispondente sito tonotopico lungo la membrana cocleare è logaritmica, ed è espressa dalla mappa di Greenwood (1990). Il confronto fra queste due relazioni empiriche permette di mettere alla prova modelli teorici di trasmissione del suono lungo la membrana cocleare (Furst et al., 1988, Talmadge et al., 1998) basati su un formalismo matematico in cui la membrana cocleare è rappresentata come una linea di trasmissione localmente risonante a frequenze decrescenti in funzione della distanza secondo la mappa di Greenwood. In tali modelli la velocità di trasmissione lungo la membrana cocleare del segnale acustico a una data frequenza è la velocità di gruppo, determinata dalla relazione che lega localmente il vettore d'onda alla frequenza. Differenti ipotesi possono essere fatte sulla forma funzionale di tale relazione. In particolare, una classe importante di modelli teorici e' basata sull’ipotesi di invarianza di scala, ed e' facile dimostrare che sotto quest’ipotesi la relazione attesa fra frequenza e latenza cocleare delle emissioni otoacustiche e' una legge di potenza con esponente –1 (Talmadge et al., 1998). L'importanza di quest’ipotesi è data dal fatto che, negli stessi modelli teorici, essa è legata ad un'interpretazione della generazione delle emissioni otoacustiche che spiegherebbe un aspetto importante della fenomenologia: la quasiperiodicità delle emissioni spontanee. Sperimentalmente si osserva invece una relazione tra latenza e frequenza che è in buon accordo con una legge di potenza, ma con esponente tra –0.4 e –0.8 a seconda degli autori e delle tecniche utilizzate. D'altra parte, una rottura dell'invarianza di scala è suggerita anche da evidenze fenomenologiche: 1) a bassa frequenza la mappa empirica di Greenwood non è esattamente logaritmica e 2) la curva di tuning in funzione della frequenza ottenuta da misure psicoacustiche (Moore, 1978) suggerisce che il fattore di merito delle risonanze cocleari non sia costante, ma cresca con la frequenza. Entrambe queste osservazioni implicano violazioni dell’invarianza di scala. Un'altra possibile spiegazione si ottiene ammettendo una dipendenza esplicita dalla posizione cocleare dei parametri di impedenza parallela della lineari trasmissione equivalente. Un’adeguata parametrizzazione della violazione dell'invarianza di scala associata a queste cause e la soluzione delle equazioni della linea di trasmissione equivalente hanno mostrato (Sisto e Moleti, 2002) che è possibile riconciliare i modelli teorici con le osservazioni sperimentali ipotizzando variazioni del tuning con la frequenza e/o una dipendenza dell'impedenza parallela dalla posizione cocleare perfettamente compatibili con le attuali conoscenze della fisiologia cocleare. In questo lavoro, partendo dai citati risultati, si suggerisce la possibilità di misurare la curva media di tuning a partire da misure di latenza delle emissioni otoacustiche, utilizzando eventualmente anche l’informazione fornita dalla misura della separazione minima fra le SOAE.

 

2.    Materiali e Metodi

 

In questo lavoro abbiamo analizzato dati di TEOAE e SSOAE di 94 orecchie di adulti sani e di 22 orecchie di neonati sani, allo scopo di determinare la relazione tra latenza e frequenza e quella fra spaziatura minima delle SOAE e frequenza. Due diverse tecniche, descritte dettagliatamente in Sisto e Moleti (2002), sono state utilizzate per la stima della latenza, una basata su un’analisi wavelet tempo-frequenza realizzata su bande di un’ottava, e una basata sull’individuazione, nella forma d’onda della componente wavelet relativa a una determinata ottava, del picco di risposta associato ad una particolare riga di frequenza nota, perché osservata anche come emissione spontanea nello spettro delle SSOAE dello stesso orecchio. Questa seconda tecnica è ovviamente applicabile solo a un sottoinsieme di casi in cui la struttura dello spettro delle SOAE è tale da permettere una individuazione non ambigua delle righe spettrali. La prima tecnica si presta all’analisi automatica di grandi quantità di dati, ed è stata utilmente impiegata (Sisto e Moleti, 2002) per valutare differenze statisticamente significative fra le latenze di soggetti sani e ipoacusici, o anche fra soggetti sani esposti e non esposti a rumore (Lucertini et al., 2002). Si tratta però di una tecnica affetta da errori sistematici, che, anche se non precludono la possibilità di utilizzare le latenze misurate come indicatori da confrontare fra popolazioni per scopi clinici, possono alterare la dipendenza della latenza dalla frequenza in modo significativo. Poiché molte delle proprietà dei modelli cocleari che stiamo cercando di verificare dipendono dai dettagli di relazioni funzionali come quella che lega la latenza alla frequenza, utilizzeremo nel seguito il sottoinsieme di dati ricavati dalla seconda tecnica.

 

3.    Modelli teorici

 

La latenza delle emissioni otoacustiche è essenzialmente dovuta al tempo di percorrenza del segnale acustico lungo la membrana cocleare fino al sito tonotopico corrispondente alla frequenza in esame e indietro fino alla finestra ovale. E’ possibile tener conto anche del piccolo (ma non trascurabile) contributo dovuto alla propagazione del suono nell’orecchio esterno e medio. Poiché l’elemento dispersivo del sistema uditivo è localizzato nella coclea, è qui che avviene una dispersione temporale delle diverse componenti in frequenza, che si ripercuote alla fine in una relazione sperimentalmente misurabile fra latenza e frequenza delle emissioni otoacustiche. La mappa di Greenwood (1990), che indica la posizione lungo la membrana cocleare del sito associato a ogni frequenza, mostra che i segnali di alta frequenza risuonano in siti vicini all’inizio della membrana (base), mentre quelli di frequenza più bassa risuonano in fondo alla membrana (apice). Qualitativamente è quindi intuibile che la latenza sia una funzione decrescente della frequenza, semplicemente perché le componenti a più bassa frequenza devono percorrere una lunghezza maggiore della membrana cocleare prima di essere riflesse indietro e venire alla fine rivelate come emissioni otoacustiche nell’orecchio esterno. Per ottenere una previsione quantitativa è necessario evidentemente un modello della trasmissione del suono lungo la membrana cocleare. Un modello utilizzato da molti autori (Furst et al., 1988, Talmadge et al., 1998, Sisto e Moleti, 2002) con importanti varianti, che non andiamo qui a discutere, utilizza il formalismo della linea di trasmissione elettrica equivalente, in cui il valore dei parametri di impedenza della linea sono associati ad analoghe proprietà “meccaniche” del sistema reale, che in realtà sono solo in parte puramente meccaniche, essendo in parte legate al sistema di feedback elettro-meccanico operante nella coclea.

Utilizziamo qui un semplice modello a linea di trasmissione utilizzato in Sisto e Moleti (2002). La linea è localmente risonante alla frequenza w(x) nel punto x della coclea. Risolvendo l’equazione nel limite WKB si ottiene una relazione fra il vettore d’onda e la frequenza, che è ovviamente funzione anche di x:

 

    .                                                               (1)

 

E’ possibile quindi calcolare, in funzione di x, la velocità di trasmissione lungo la membrana cocleare per un pacchetto d’onda di frequenza w, come velocità di gruppo associata alla (1):

 

    .                                                                                (2)

 

Una stima della latenza cocleare è quindi data dall’integrale:

 

    .                                                             (3)

 

In prossimità della risonanza la velocità di gruppo diminuisce rapidamente, in funzione del Q della risonanza, su una estensione spaziale che è invece inversamente proporzionale al Q. E’ quindi possibile calcolare separatamente il contributo alla latenza dovuto al percorso vicino alla risonanza e quello del percorso lontano dalla risonanza. In particolare abbiamo mostrato (Sisto e Moleti, 2002) che il contributo della risonanza (entro Dx = 2G/w da x(w)) alla latenza è indipendente dal Q e mostra un tipico andamento come w-1, mentre il contributo lontano dalla risonanza (fino a x(w)-2G/w), grazie all’approssimata validità dell’invarianza di scala è facilmente calcolabile in modo analitico:

 

    ,                                                            (4)

 

 

    .               (5)

dove:

 

    ,                                                                    (6)

 

mentre b  e’ una costante, dell’ordine di 0.3 ms, che puo’ essere trascurata in prima approssimazione.

Questa relazione permette di ricavare informazioni sulla curva di tuning a partire da misure sperimentali dalla latenza delle emissioni otoacustiche texp(w). Si ricava infatti:

 

    .                   (7)

 

D’altra parte, i modelli cocleari delle SOAE basati sulla riflessione coerente alla Bragg da disomogeneità cocleari in prossimità della risonanza (Zweig e Shera, 1995; Talmadge et al, 1998) prevedono che la separazione spaziale minima tra i siti cocleari di origine delle SOAE sia data dalla condizione:

 

    ,                                                                                                   (8)

 

dove  è il valore del vettore d’onda alla riflessione, che è legato al Q della risonanza da:

 

    ,                                                                                              (9)

 

dove g  e’ quasi indipendente da Q, e vale circa 0.8. La mappa di Greenwood permette di tradurre l’Eq.(8) in una relazione per la separazione in frequenza delle SOAE:

   

    .                                                                                   (10)

 

Abbiamo quindi una seconda relazione, indipendente dall’Eq.(7), che ci permette di valutare la curva di tuning partendo in questo caso da misure sperimentali della separazione minima fra le SOAE:

 

    .                                                                           (11)

 

Le Eqq.(7) e (11) implicano inoltre una relazione fra latenza e separazione minima delle SOAE, che deve essere verificata se il modello è coerente:

 

    .                                                                                  (12)

 

4. Risultati e discussione

 

In Fig.1 sono mostrati i valori sperimentali della latenza in funzione della frequenza, per adulti e neonati e i relativi fit a una semplice legge di potenza. In Fig.2 sono mostrate le corrispondenti curve di tuning Q(f), ricavate dall’Eq.(7). In Fig.3 mostriamo invece l’andamento della separazione fra SOAE in funzione della frequenza. La linea continua non è un fit ai dati, ma la predizione sulla separazione minima fornita dall’Eq.(12) a partire dalla misura sperimentale della latenza. Il buon accordo testimonia della coerenza interna del modello. I dati sulla latenza di adulti e neonati mostrano una latenza significativamente maggiore in questi ultimi. Come mostrato in Fig.2, questo corrisponde ad una ancora più significativa differenza fra le curve di tuning dedotte in base al nostro modello per adulti e neonati. Il tuning dei neonati risulta significativamente maggiore di quello degli adulti, con interessanti implicazioni sulla sensibilità dei neonati al rumore. La solidità di questo risultato è confermata dalla pressoché perfetta corrispondenza, mostrata in Fig.3, tra i valori sperimentali della separazione minima fra SOAE dei neonati e la curva calcolata in base all’Eq.(12) a partire dalla misura della latenza. Questo significa che avremmo ottenuto lo stessa stima del Q per i neonati a partire da una misura indipendente da quella della latenza, il che è inoltre una prova della coerenza interna della teoria utilizzata.

 

 

 

 

 

 


Figura 1

 


 

 


Figura 2

 

 

 

 

 


 


Figura 3

 

 

 

 

 

 

5.    Conclusioni

 

Misure di latenza delle OAE e di separazione minima fra SOAE sono state utilizzate in adulti e neonati per valutarne le curve medie di tuning, in base a un modello teorico della trasmissione acustica lungo la coclea. Il Q dei neonati è risultato significativamente maggiore di quello degli adulti, e il modello ha mostrato un elevato grado di coerenza interna.

 

Bibliografia

 

1.  Furst, M., and Lapid, M. (1988), J. Acoust. Soc. Am., 84, 222-229.

2.  Greenwood, D. D. (1990), J. Acoust. Soc. Am. 87, 2592-2605.

3.  Lucertini M., Moleti A., Sisto R. (2002), J. Acoust. Soc. Am. 111, 972-978.

4.  Moore B.C., (1978), J. Acoust. Soc. Am. 63, 524-532.

5.  Probst, R., Lonsbury-Martin, B.L., and Martin, G.K. (1991), J. Acoust. Soc. Am. 89, 2027-2067

6.  Sisto R., Moleti A. (2002), J. Acoust. Soc. Am. 111, 297-308.

7.  Talmadge, C.L., Tubis, A., Long, G.R., Piskorski, P. (1998), J. Acoust. Soc. Am. 104, 1517-1543.

8.  Tognola, G., Grandori, F., Ravazzani, P. (1997), Hear. Res. 106, 112-122.

9.  Zweig G., Shera C.A. (1995), J. Acoust. Soc. Am. 98, 2018-2047.

 

 






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